venerdì 10 gennaio 2014

Islands: iperattività cerebrale

Eccomi qui, devo fissare le idee per paura che mi sfuggano. Mi capita di esagerare, mi faccio iper-stimolare e sento il bisogno di muovermi, di fare, e di fissare le fantasie, le idee, e le lampadine che si accendono. E' molto utile fissare, in questo ingarbuglio di immagini e sensazioni.
E' il caso della mostra Islands  http://www.hangarbicocca.org/mostre/mostre/islands/



Mi ha incuriosito l'infinito assemblaggio di elementi, cose di vita, di lavoro, cose del fare, dell'aver fatto. Un'insieme di cose che ci circondano e di cui ci serviamo, da quelle più utili a quelle più insignificanti, che abitano le nostre case e i nostri mondi. Un collage fissato lì per essere visitato, fruito, toccato e pensato. Un'istallazione fatta di mille dettagli e colori, che è lì per essere assorbita dallo sguardo dello spettatore. Personalmente questo insieme di oggetti, materiali, forme e colori, mi riempie gli occhi, e mi affascina. Stimola in me molte connessioni...

Mi ha colpito l'istallazione Flacher Abfall (Flat Waste), costituita da una raccolta durata vent'anni di materiali di scarto come vecchi involucri alimentari, ricevute, biglietti, etichette, lettere e altre tracce del quotidiano, che l'artista ha catalogato e riposto in cartellette di plastica trasparente, inserite cronologicamente in raccoglitori presentati su scaffali. Mi fa riflettere sul numero di cose che ci circondano: quanto facciamo pesare la nostra presenza su questo pianeta!
La visione degli scaffali mi ha ricordato gli archivi dei nostri uffici: chili di carta e di parole che conserviamo, ma che impilati così, danno la sensazione di inutilità e di non-senso, lo stesso che comunica quest'installazione.



Eppure gli assemblaggi mi hanno da sempre affascinato, sin dagli studi liceali sul collage cubisti, (Picasso e Braque), li ho sempre apprezzati anche nell'arte contemporanea. Per analogia mi vengono in mente i libri d'artista incontrati in accademia, e ritrovati qualche mese fa con gli Scrapbooks di Shinro Ohtake alla Biennale di Venezia. L'artista giapponese definisce così la sua opera: "il punto di saturazione in cui gli scarti della cultura visiva si trasformano in versioni strabordanti di se stessi".
Ma nonostante tutto, che energia evocano tutte queste stratificazioni; che potenza ha l'utilizzo del libro come simbolo contenitore, come spazio-rifugio, luogo della conoscenza, strumento di auto-esplorazione e via di fuga nel dominio del fantastico.






Le mostre sono per me sempre nuovi mondi da esplorare. Sono affascinata dalle infinite possibilità della creatività umana. Mi interessano le miriadi di connessioni che si possono attivare, e l'arte ne è un grandissimo patrimonio. Un patrimonio infinito, perchè anche se sembra che sia stato già inventato tutto... in realtà l'immaginario degli artisti non ha confini. E a me piace pensare che sia così.
Dopotutto è vero che ognuno di noi esprime un proprio stile e un proprio linguaggio, che nessuno ha la facoltà di scegliere, ma che è suo in quanto essere umano unico e irripetibile. C'è un universo dentro di noi ed è sconfinato.


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